Capitolo 3. Icaro
Icaro
Il rischio che si fa piuma.
Destino della caduta.
Il rischio si fa piuma.
L'aria obbedisce.
Si sale.
La ferita di Prometeo è già lontana, cenere dispersa.
Ora c'è solo il vento, la vertigine, la spinta che acceca la misura.
Si sale e il confine tra creatore e creatura diventa impercettibile.
Il braccio alto della curiosità ignora la mano prudente.
Non c'è peso, non c'è limite, solo estasi e desiderio che si espande. Più in alto. Ancora.
Il sole non è un avvertimento, è solo la prossima meta.
Questo è il culmine del volo, la fusione perfetta con l'ingegno.
L'eco della volontà amplifica l'ascesa e diventa l'unica voce. Non c'è più Dedalo,
non c'è più il padre, nessuna memoria della terra, nessuna prudenza che trattenga.
La techne non è più uno strumento, è diventata il cielo.
E l'umano si dissolve nell'ebbrezza, finalmente divino, finalmente padrone del fuoco, convinto che l'ascesa sia l'unica casa possibile.
Perché il Bello non è che il tremendo al suo inizio,che noi, ancora, appena sopportiamo,e ammiriamo così, perché sereno disdegna di distruggerci.
Ma il sole non disdegna
Non ammira.
Consuma.
L'ingegno che ha obbedito, ora tradisce.
La fusione perfetta si dissolve nell'aria rovente.
L'ebbrezza diventa vuoto.
Il braccio alto della curiosità
ora è solo peso.
La vertigine non è più ascesa,
è il destino della caduta.
L'aria non obbedisce più.
Non c'è piuma.
Non c'è cielo.
Solo l'abisso
che attende.
E, sul fondo,
un masso.
Sogno infranto