Capitolo 2. Prometeo
Prometeo
La scintilla che separa la notte.
La ferita del primo fuoco.
Prometeo non chiede permesso, non si volta.
C’è un istante in cui la notte si incrina
una scintilla serpeggia tra le nuvole,
attraversa il confine che separa gli uomini dagli dèi.
Da quel momento nulla può tornare come prima.
Nel mito, il fuoco non è solo calore,
non è solo sopravvivenza:
è conoscenza che si accende all’improvviso,
possibilità che si spalanca come abisso,
azzardo che non conosce ritorno.
Gli dèi lo custodivano come segreto,
tracciando una linea netta tra il potere di creare
e quello di chi resta spettatore,
tra il rischio e la quiete.
Prometeo, nell’ombra, infrange questa linea.
Basta un gesto solo, e la distanza si dissolve:
l’ultima barriera si infrange,
il sapere si fa accessibile,
ma anche instabile,
pronto a mutare tutto ciò che tocca.
Il dono di Prometeo non è mai puro:
la scintilla che divide la notte non è solo promessa,
è anche minaccia.
La luce porta conforto,
ma getta nuove ombre:
ogni salto evolutivo reclama un prezzo,
ogni conquista irreversibile lascia un debito che non si estingue.
Prometeo diventa margine vivente:
né interamente uomo, né più soltanto mito,
vive nella sospensione tra dono e punizione,
tra coraggio e smarrimento.
La luce che illumina è la stessa che consuma.
Ogni avanzamento,
ogni tecnologia,
ogni conoscenza nuova che dissolve la notte
porta con sé il rischio che il dono si trasformi in fardello,
che la speranza si rovesci in vertigine.
È la condizione di chi attraversa la soglia:
l’ebbrezza della scoperta e
la paura della ricaduta.
Forse ogni tempo ha il suo fuoco da rubare.
Forse ogni generazione si trova davanti a una scintilla che attende
e deve decidere se tendere la mano
sapendo che nulla potrà essere come prima.
Il margine resta aperto:
la via che si apre è insieme promessa e rischio,
e tra la cenere e la luce si disegna, appena,
la ferita del primo fuoco
quella che invita a osare ancora,
a varcare nuovi cieli
senza sapere il destino della caduta.
C’è un istante in cui la notte si incrina
una scintilla serpeggia tra le nuvole,
attraversa il confine che separa gli uomini dagli dèi.
Da quel momento nulla può tornare come prima.
Nel mito, il fuoco non è solo calore,
non è solo sopravvivenza:
è conoscenza che si accende all’improvviso,
possibilità che si spalanca come abisso,
azzardo che non conosce ritorno.
Gli dèi lo custodivano come segreto,
tracciando una linea netta tra il potere di creare
e quello di chi resta spettatore,
tra il rischio e la quiete.
Prometeo, nell’ombra, infrange questa linea.
E rubò il fuoco all’irrequieta fiamma in una ferula cava:
rovina fu questo inganno per gli uomini
(Esiodo, Teogonia)
Basta un gesto solo, e la distanza si dissolve:
l’ultima barriera si infrange,
il sapere si fa accessibile,
ma anche instabile,
pronto a mutare tutto ciò che tocca.
Il dono di Prometeo non è mai puro:
la scintilla che divide la notte non è solo promessa,
è anche minaccia.
La luce porta conforto,
ma getta nuove ombre:
ogni salto evolutivo reclama un prezzo,
ogni conquista irreversibile lascia un debito che non si estingue.
Prometeo diventa margine vivente:
né interamente uomo, né più soltanto mito,
vive nella sospensione tra dono e punizione,
tra coraggio e smarrimento.
La luce che illumina è la stessa che consuma.
Ogni avanzamento,
ogni tecnologia,
ogni conoscenza nuova che dissolve la notte
porta con sé il rischio che il dono si trasformi in fardello,
che la speranza si rovesci in vertigine.
È la condizione di chi attraversa la soglia:
l’ebbrezza della scoperta e
la paura della ricaduta.
Forse ogni tempo ha il suo fuoco da rubare.
Forse ogni generazione si trova davanti a una scintilla che attende
e deve decidere se tendere la mano
sapendo che nulla potrà essere come prima.
Il margine resta aperto:
la via che si apre è insieme promessa e rischio,
e tra la cenere e la luce si disegna, appena,
la ferita del primo fuoco
quella che invita a osare ancora,
a varcare nuovi cieli
senza sapere il destino della caduta.
Fuoco